lunedì 28 settembre 2009
Passaggi e cambi di cappello
Non posto dal mio compleanno, piu' di tre mesi fa. Nel frattempo ci sono state Hyderabad e Delhi, un assaggio londinese, un piacevole ritorno fiorentino, due mesi passati a studiare come non succedeva dai felici tempi del Curtatone, una puntata di "Scova l'intruso a palazzo Koch", lunghe chiaccherate e ritrovamenti.
In tutto questo tempo ho sepolto l'avventura indiana in un angolino della mente, sapendo che presto avrei dovuto ricominciare a lavorarci sopra. Questo momento e' infine arrivato e come inizio soft sono andata a ripescare appunti di post non pubblicati al momento in cui gli ho scritti.
Li pubblico adesso, anche se sono un po' sconclusionati e lasciati a meta', per rientrare nella giusta atmosfera.

I'll Never Do It Again (INDIA)

Francamente non ne posso più delle infinite, stupidissime, inutili regole indiane.
Se nella vita pubblica e nei comportamenti di massa vige la più totale anarchia (chi ha inventato l'espressione “fila indiana” decisamente si riferiva agli indiani d'America, perchè nel sub-continente indiano stare in fila è praticamente proibito), le relazioni sociali sono iper-regolate e soggette a numerosi tabù. Altrettante però sono le contraddizioni e le eccezioni alla regola, rendendo il tutto più difficile da capire e da accettare.
Il Kamasutra è stato inventato in India, ma le dimostrazioni d'affetto in pubblico sono tabù. Fa eccezione il caso in cui siano scambiate tra uomini: è comune vedere ragazzi che attraversano la strada sotto braccio o per mano. L'omosessualità però era considerata reato fino alla settimana scorsa.
La cosa che si avvicina di più a un corso di educazione sessuale è la pubblicità della pillola del giorno dopo in televisione. Ma il preservativo è un tabù.
Marie Clair India dedica un articolo all'acquisto di sex toys da parte delle donne, ma informa che l'importazione e la vendita di tali prodotti è reato in India. Inoltre dedica un articolo alle giovani donne single che vivono da sole-pare siano in aumento, ci sta che siano gia' qualche centinaio in tutta l'India (sic).
Al negozio ti incartano gli assorbenti perchè non è carino farli vedere in giro e dire che ti scappa la pipì è un tabù. D'altra parte l'altro giorno mi sono ritrovata davanti ad un poster plastificato raffigurante una ragazzina seduta tra cespugli e fiorellini, grande a sufficienza da coprire la parete di una stanza. Sapendo che la ragazzina in questione è viva e vegeta, mi sono azzardata a chiedere per quale occasione fosse stato fatto. La risposta, per una volta in inglese quasi corretto e scientifico, è stata: il primo mestruo.

La pubblica amministrazione è ovviamente la suprema dispensatrice di regole inutili. Dovendo spedire in Europa 15 Kg di materiale cartaceo accumulato in due mesi di lavoro, ho avuto l'occasione di sperimentare le efficienti assurdità (il pacco è arrivato in una settimana) delle Poste indiane.
Per qualche oscura ragione è possibile spedire solo oggetti “imbustati”, ovvero contenuti in sacco o busta di materiale resistente, quale tela o tessuto. Il mio scatolone malmesso e ricoperto di scotch, trasportato all'ufficio postale in bilico sulla vespa tra me e Vinjaran, certo non risponde a tali criteri. Non scoraggiati al primo ostacolo, andiamo in cerca di un sarto che mi prepari un sacco adeguato. Mentre visualizzo immagini di libri riposti in una federa mi viene in mente che un sacco di riso può facilmente servire allo scopo.
La città (e tutta l'India) ne è piena, quindi non è difficile trovarne uno. Chiediamo aiuto ad una squadra di fattorini delle ferrovie in camicia rossa che indolenti riposano seduti per terra lungo la strada. In pochi minuti il sacco viene cucito tutt'intorno alla mia scatola, rivestendola completamente. Il fattorino più anziano, che dirige le operazioni, ha lo stemma di ToysRUs impresso sulla camicia. Mi chiedo come la divisa di una catena di giocattoli sia potuta diventare la divisa di fattorini indiani.

Da nazione orgogliosa qual'è, l'India dovrebbe capire che per essere considerata un paese moderno, dovrebbe fare lo sforzo di spingere le regole del proprio galateo verso standard internazionalmente accettati.
In particolare qualcuno dovrebbe prendersi la briga di spiegare agli indiani che l'eccessiva gentilezza rischia di sfociare in maleducazione. Ad esempio invitare un amico a cena e poi farlo mangiare da solo mentre tu te ne giri intorno alla tavola studiando ogni sua minima mossa e riempiendogli il piatto di cibo che non desidera, non fa di te l'ospite prefetto. L'abitudine di riempirti il piatto non appena accenna a svuotarsi mi risulta particolarmente noiosa. Non ho modo di godermi un pasto perchè passo tutto il tempo in tensione sperando che non mi rifilino un'altra scodellata di pappina nel piatto. Non so quante volte al giorno dico thanks but no thanks. Per qualche assurda associazione mentale torna a venirmi in mente il personaggio di Panariello che aveva un problema, che era l'avvoltoio sul letto della nonna. Ecco qui la sensazione è simile. Quella di avere un avvoltoio che ti sta seduto sullo schienale della sedia e aspetta il momento giusto per convincerti che in fondo vuoi ancora un po' di dal.

P.S. sul titolo: non e' per niente vero that I'll never do it again. Ma era un acronimo troppo bello e troppo rappresentativo di certi momenti di sconforto che il sub-continente ti puo' portare a vivere, per non usarlo.
 
posted by Chiara at 11:14 | Permalink | 0 comments