mercoledì 29 aprile 2009
Gli eroi apprezzano le buone maniere
Ieri sono stata a pranzo con gli eroi della mia infanzia accademica.
Una professoressa esperta di economia internazionale (ma anche economia indiana, globalizzazione, poverta', politica indiana, etc) educata a Cambridge, piu' vicina ai sessanta che ai cinquanta ma bellissima e con l'aria da ragazzina nel suo sari verde; il marito, un vecchietto dalla lunga barba e dai lunghi capelli grigi, giornalista e opinionista e professore di economia e esperto su tutto cio' che riguarda l'India rurale-una gran mente, ma totalmente incapace nelle relazioni sociali, si e' fatto vedere per il tempo del pranzo e poi ha lasciato la moglie a tirare avanti la conversazione; un professore di economia educato a Cambridge, che sembra conoscere tutti quelli che mi hanno insegnato qualcosa sull'India.
E' dal 2005 che mi ripromettevo di andare a pranzo con Jayati Ghosh. Lei e gli altri due sono i principali responsabili della mia scelta di occuparmi di India, e ho sempre sperato che alla fine sarei andata a trovarli nel loro ambiente naturale.
Ovviamente la capacita' d farmi invitare a pranzo poi non necessariamente implica quella di saper sostenere una conversazione brillante con i miei eroi intellettuali. Per fortuna la mamma mi ha insegnato le buone maniere cosi' mi sono guadagnata un "you're so sweet" presentandomi con un English Fruit Cake. Magari mi ricorderanno come "l'italiana che ci ha portato il dolce".
 
posted by Chiara at 10:00 | Permalink | 1 comments
A smart, brilliant move
Mi chiedo quanto tempo della mia vita trascorra a darmi dell'idiota. In ogni caso non abbastanza o non in modo efficace, dal momento che continuo a ripetere gli stessi errori da sempre. L'ulitma cazzata e' stata la rottura degli occhiali. Ma non in modo banale, tipo mi ci sono seduta sopra e si e' spezzata la stanghetta. Piuttosto e' successo che con un movimento fluido e aggrazziato ho tentato di togliermi la maglietta mentre li avevo ancora indosso e in qualche modo sonoriuscita a incastrare i due oggetti l'un con l'altro e a spezzare una delle lenti.
Talmente tipico e prevedibile che non me la sono nemmeno presa piu' di tanto. Mi son rimessa la maglietta, ho messo le lenti a contatto e sono andata a coprare la super glue al "centro commerciale" del campus.
Centro commerciale tra virgolette poiche' trattasi di una corte al cui interno si trovano cinque-sei botteghe che vendono articoli do ogni sorta: dalla carta igienica alle uova, dalla crema nivea ai biscotti burboun,da cucchiaini di stagno a, appunto, la super colla. Difficile che qualcuno ti sorrida in queste botteghe,e bisogna anche stare attenti a non spendere piu' di 100 rupie tutte insieme (meno di due euro) se non si vuoleattirare troppo l'attenzione. Ma a parte questo, possono risolvere la meta' dei tuoi problemi.
Cosi' i miei occhiali son tornati un pezzo unico e hanno pure assunto quell'aria un po' vissuta che non guasta mai (sic), con una specie di cicatrice da un lato.

Un post un po' insulso, lo so, ma avevo bisogno di darmi pubblicamente della bischera.
 
posted by Chiara at 09:56 | Permalink | 0 comments
@ JNU
Sono a Delhi da sei giorni ma non ho ancora visto Delhi. Non ho ancora avuto il coraggio di immergermi nel caos di odori suoni corpi colori che e' la citta' vecchia. Me ne sono rimasta nell'atmosfera ovattata del campus della Jawaharlal Nehru University, ad eccezione di un paio di escursioni nelle enclave della classe medio-alta.
Il campus e' immerso in un enorme giardino tropicale, popolato da pappagalli,pavoni, scoiattoli e cani pulciosi. Ogni tanto tra i fiori rosa e gli alberi di mango si intravede un edificio in mattoncini rossi, che potrebbe essere alternativamente la facolta'  di ingegneria cosi' come l'international guesthouse o qualche ufficio amministrativo, tanto son tutti uguali.
Il caldo e' opprimente dalle 11 di mattina alle 5 del pomeriggio, quindi tutti se la prendono parecchio easy. Per la strada anche qui si rischia di essere investiti dagli onnipresenti rickshaw o dagli autobus carichi di studenti ma anche i veicoli a motore sembrano prendersela con piu' calma e per la maggior parte del tempo regna una specie di silenzio.
Il codice di condotta comnque, rimane quello indiano.
La popolazione maschile domina ovunque. Andare in giro significa essere costantemente sotto osservazione. Ma non gli sguardi piu' o meno amichevoli di chi cerca una scusa per attaccare bottone, piuttosto occhiate quasi ostili di chi non capisce perche' te ne vai liberamente da sola in giro e se proprio lo devi fare, per quale ragione lo vieni a fare qui.
L'altro giorno sono andata ad aprire al ragazzetto che la mattina passa a portare il chai in pantaloncini e canottiera. Mi c'e' voluto un po' per interpretare lo sguardo allucinato con cui mi ha fissato mentre pagavo le 5 rupie. Poi ho capito.
Non indossavo esattamente l'abbigliamento del cliente medio. A mia discolpa posso dire che il digraziato passa alle sette di mattina, mentre io sono ancora immersa in un sonno profondo. La prima volta che ha bussato alla porta lo avrei preso a schiaffi. Tra l'altro non si spiega l'ora, visto che l'India non e' un paese di mattinieri.
Come ha detto il mio uspervisor quando gli ho raccontato l'episodio, l'ultimo a svegliarsi presto la mattina e' stato Gandhi.
Ha un certo senso dell'umorismo, il sup. Quando gli ho raccontato che la notte spengo il ventilatore perche' ho paura che si stacchi dal soffitto causando un effetto pale volanti che mi riduce a fettine mi ha detto: "non ti preoccupare, se succede chiederemo di intitolare un'aula della guesthouse in tuo nome".
Esattamente quello che una vuol sentirsi dire come frase di incoraggiamento all'inizio di un progetto di ricerca.
 
posted by Chiara at 09:39 | Permalink | 1 comments
lunedì 13 aprile 2009
In Aria
C’è un uomo vestito da donna seduto due posti accanto a me sull’aereo. Vedo i baffi e la barba, entrambi bianchi e spelacchiati. Vedo le rughe sul viso, il naso prominente e le mani grosse e nodose. E’ decisamente un uomo sulla settantina, ma indossa un salwar kameez rosa pallido (il pigiama colorato indossato dalle donne indiane che vogliono fuggire dal sari) e una dupatta bianca e ricamata adagiata sul capo. Ovviamente da questo volo mi aspetto di tutto e mi affido all’efficienza dei controlli di sicurezza di Heathrow.

A questo giro ho seriamente rischiato di perdere l’aereo. Colpa di una torta di compleanno al limone mangiata in aeroporto e delle chiavi di casa di Tina. La prima serviva per festeggiare il compleanno di Racheal, anche lei a Heathrow perché in partenza per la Nigeria; le chiavi stavano per volare con me in India, perché sia io che Tina eravamo troppo commosse e impegnate a mangiare la torta per ricordarsi di una cosa così futile come le sue chiavi nella tasca della mia giacca. Per fortuna che ai controlli di sicurezza fanno svuotare anche le tasche.

Ho circa otto ore di volo per metabolizzare gli ultimi dieci giorni prima di calarmi in un’altra vita e vestire i panni dell’esploratrice dè noattri. In effetti ho sempre pensato che la lunghezza dei voli intercontinentali avesse il suo perché. Ci vuole un po’ di tempo per calarsi nel ruolo, poi ho cambiato troppe volte impostazioni negli ultimi giorni e sento che avrò bisogno di un bel po’ di tempo per resettarmi (già l’uso di queste metafore è in sé preoccupante). Due domeniche fa stavo ancora a dare i voti e a inscatolare la mia camera londinese. Una settimana fa perdevo ricordi (poi ritrovati), davo il benvenuto a Greg e ascoltavo i miei bisticciare in macchina. Negli ultimi gironi poi ho detto troppe volte arrivederci e goodbye per non sentirmi un po’ svuotata. Anche se tutti i sorrisi, gli abbracci e le parole di incoraggiamento mi hanno fatto sentire al posto giusto almeno per un po’. In cinque giorni italiani ho fatto in tempo a vedere la vecchiaia avanzare, osservare dinamiche di coppia poco rassicuranti, guardare in faccia una volta ancora i miei rimpianti, accumulare sensi di colpa, sentirmi sulle spalle tutti questi quasi ventisette anni, contare gli eventi demografici che mi perderò nei prossimi sei mesi, salutare, voler bene, essere grata, sperare, raccontare, forse ascoltare. E poi Londra di nuovo, col sole, per 24 ore frenetiche e piene di persone, giusto per non dimenticarmi che casa mia è anche questa ora, e che è da qui che ri-parto.

Adesso sono esausta, raffreddata, in ansia. In due parole, freaking out. E siccome così tanto cerebrale poi non sono, metabolizzerò e resetterò mangiando il cibo indiano della Virgin e guardando Twilight.
 
posted by Chiara at 06:27 | Permalink | 2 comments